Qualunque viaggio ha in sé la legge della relatività einsteniana: infondiamo la nostra energia nella massa della nostra essenza e la trasferiamo al quadrato della velocità del nostro spostamento spazio-temporale.
Soffriamo anche di fisica quantistica delle emozioni e degli affetti: afferriamo il senso delle cose solo quando ne raggiungiamo la piena consapevolezza. Come dire: siamo osservatori di noi stessi e degli altri e della nostra vita solo nel momento stesso del nostro cambiamento.
Cambiamo costantemente, a velocità diverse ciascuno, senza rendercene conto.
Il tempo, altra variabile: quando ci si accorge che qualcosa è avvenuto, allora stiamo guardando indietro a misurare le ore i giorni gli anni. Per renderci conto, alla lennoniana maniera, che eravamo impegnati a fare qualcos’altro e che le cose importanti della Vita, incluso la birra e gli amici come sostiene qualche filosofo, ci stanno sfuggendo.
Oh, non si può dire che il tempo si sia trascorso male o in maniera ineludibile, davanti alle rughe che disegnano il tuo volto, solcato dal sole e tracciato dal sale, e la pasta di zinco a proteggerlo mentre si cavalca l’onda, a prendere velocità, senza cadere, o te o l’onda, come sostiene Norrin “Silversurfer” e la sua tuta grigioargento prima di finire ingoiati dal dio Galactus, nella spirale di amore-odio per chi ci mette su questa Terra padroni del libero arbitrio.
Così si traversano oceani d’acqua e vuoti d’aria, lungo rotte e canali di radiofari in triangolazione, in un qualunque momento la tua posizione è certa tanto quanto il tuo bagaglio all’aeroporto o all’imbarcadero. E alla fine è come essere da un punto in partenza ad un punto in arrivo, rimbalzando su tapis roulant, attraversando hub, sedendo su sedie scomode in sale d’attesa dopo check in con variante prezzo per il tuo mezzo litro di acqua. Saluti con persone deferenti per professione per intrattenimento dei ricchi, allenati in corsi di formazione di soddisfacimento di bisogni e desideri. Sguardi disperati per un bagaglio all’appello, il volo, il distacco, l’atterraggio, la limo all’aeroporto, ancora deferenti.
Si viaggia così intorno al mondo per difendere i propri interessi di famiglia. Per incontrare persone, stringere mani, fare affari. Dimentichi dell’universo di riposo di casa, e malgrado gli scali, non poter godere del sorriso di Juanita, di quell’importuno di Jope e degli occhi teneri di Camilla, delle filosofie di Feysal e del Generale Hourazon, silenzioso nella sua vasca.
Una camera d’albergo non ha passato e non ha futuro, come appartamenti occasionali o suite in attici. E il viaggio non è mai lo stesso, non ti arricchisce, spesso ti fa perdere i riferimenti. Trovare tutto sempre in ordine, sempre perfetto, non consente di vivere la sensazione di disagio familiare permeata di regole non scritte: sveglie mattutine digitali e senza tartufo umido ti cambiano l’imprecazione, che di affettivo avrà ben poco.
O radersi sotto cristalli di acqua tiepida senza sentire la moka italiana che sfarfuglia in cucina, con Juanita che recita come una giaculatoria gli impegni della giornata solo per minacciarti che, alla fine, non uscirai.
O trovare il giornale senza comprarlo all’angolo e parlare del tempo da dieci anni con Jons per sapere che l’umidità gli danneggia la schiena.
Scrivere appunti su carta intestata mentre si fa una pausa lavoro e si guarda fuori dalla finestra, una skyline a Manhattan non è come a Sydney o Canberra: i vuoti e le interruzioni e lo spazio dello sguardo non hanno la stessa accelerazione di gravità, gli stessi rimbalzi, gli stessi silenzi ottici, sul pentagramma tridimensionale.
Così traferire una casa dall’altra parte del mondo diventa l’occasione per bilanci, per lasciare alle spalle musei di abitudini, per rinnovare lo spirito, per dimenticare pacchi, e cedere indietro parti di sé.
Se il mondo è bello perché vario – frase tipica del meridione del mondo – il caffè caldo e penetrante, gli umori della casa sono il filo rosso che tutto scorre sui binari, che il tuo sorriso è oltre il patio, che le persone care sono intorno a te.
E il vuoto è pieno.








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