Mi mostra un’area decadente, tipica dei nostri film, quando si vuole trasmettere il senso del rilascio del protagonista verso il mondo che non gli appartiene più: parcheggio vuoto e pieno di cartacce, recintato, cinema/drive-in ormai in disuso, una sensazione che non va via anche con una doccia calda e un massaggio che ti fanno giù da Christie’s.
Sandor mi racconta della sua infanzia, del quartiere in cui è cresciuto e dei negozi che la crisi sta spazzando via: la decadenza è nell’insegna rotta e mai riparata, nelle vetrine sguarnite, nella chiusura con assi e serrande grigie e divelte e arrugginite, nel popolo meno affollato che compra.
Mi indica il negozio di Josie’s, macelleria e gastronomia d’angolo dove campeggiava l’insegna della banda Warner: Bugs Bunny mangiava la carota – What’s up Doc? – spiaccicato sul vetro di fronte al Pollo Garlo e in mezzo i prezzi del giorno.
Sandor mi racconta di quando ci si dava appuntamento lì, con le bici e un’aria spensierata che si può avere solo tra gli undici e i tredici, quando si è troppo grandi per fare i piccoli e troppo piccoli per fare i grandi, piccoli segreti da giuramenti sanguinari e amicizie che durano una Vita. Mi parla di figurine del baseball, indiano dell’Est naturalizzato americano, con la squadra del cuore che non ha mai vinto un campionato e forse quest’anno il battitore la mette a metà classifica, ma niente per fare la Grande Finale.
“Josie era materna, aveva un seno grosso così”, mi dice, a quell’età ti rimane impresso sempre il senso materno e sessuale, “ci andavamo per prendere le patatine che costavano un dollaro e poi salivamo sul muretto a mangiarle. Lì ho conosciuto Sally, capelli rossi e lentiggini… non l’ho più vista… però era carina e siamo andati al cinema, i suoi non volevano che ci frequentassimo… ma noi andavamo di nascosto… ai cartoon e alle storie di Bugs Bunny… c’era Romero il meccanico che arrivava con la Oldsmobile e un sacco di fumo…”
Lo sguardo di Sandor è perso nella coltre dei ricordi. Come nella nebbia si va a tentoni per trovare la strada smarrita di casa, lui cerca il suo filo rosso, trovandone brandelli emozionali. Avverto brividi e intanto il film della sua vita mi scorre davanti, in questo flusso senza più coscienza. Josie è scomparsa, terminata da un male incurabile; Romero è vecchio e l’officina è gestita dal nipote e lui passa le mattine a tirare avanti. Ogni tanto urla al sole, la sua Oldsmobile un pezzo da museo restaurato. La squadra si piazza sempre a metà classifica e Sally è altrove, sposata e divorziata da un uomo che l’ha illusa e abbandonata, lasciandole un figlio per metà adulto.
Sandor mi guarda, avverto tremiti nella sua voce.
Bugs Bunny ha messo la sua tana altrove. Non ha mai svoltato a sinistra per Albuquerque.









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